Racconti MARCO LONGHI scrittore writer

                      
MEMORIE DI PIETRO LONGHI


Dalla fortezza di Verona

Febbraio 1944
Suonavano le sette. I detenuti ancora dormivano accovacciati uno contro l’altro nel puzzolente ambiente della cella troppo stretta. Un urlo da fuori. Un lungo tintinnio di chiavi e diversi brevi ordini in tedesco ci svegliarono di soprassalto. Era ancora buio.
Qualcosa d’insolito doveva essere accaduto.
Non facemmo in tempo a indovinare la causa di tanto trambusto: la cella si apriì con violenza e apparvero tre militi delle SS, col mitragliatore in pugno.
Ci fecero capire con fare minaccioso, che dovevamo immediatamente scendere tutti nel cortile: “schnell!! schnell!! raus!!" Le loro urla selvagge accompagnavano le abbondanti percosse a coloro che sembravano ancora addormentati o intontiti.
Semi svestiti tutti scendemmo di corsa a pianterreno, nel cortiletto della fortezza.
Una fredda, sottile e insistente pioggia invernale ci accolse. Albeggiava.
Alzando gli occhi oltre i muri di cinta, si poteva scorgere nella fuggente oscurità, l’uniforme grigiore del cielo.
Molti di noi, sorpresi nel sonno, non avevano avuto il tempo di mettersi le scarpe o di infilare i pantaloni. Una vera folla di bruti, laceri, sporchi, i cui visi sembravano di cera, si ammassava lungo il muro disponendosi in una lunga fila a tre per tre, senza che venisse scambiata una parola.
Nessuno prevedeva la tragicità della situazione.
Non tardammo a conoscere il motivo di quell’insolito raduno: l’interprete, un rinnegato alto-atesino, apparve seguito da una decina di militi tedeschi con le armi spianate nella nostra direzione.
Dovemmo metterci sull’attenti per l’arrivo del Comandante accompagnato da suo aiutante. Venne fatto un cenno all’interprete il quale, avvicinatosi a noi, ci comunicò senza alcun riguardo che durante la notte tre soldati del Reich erano stati vigliaccamente assassinati in città da dei Banditi come noi e che per rappresaglia trenta ostaggi dovranno essere fucilati, tanto per dare il buon esempio agli altri.
Ora – sono le parole dell’interprete – si procederà alla scelta.
Descrivere il panico, la disperazione che seguirono quelle parole, è cosa impossibile.
Urla, imprecazioni, preghiere, pianti, tutto si confondeva.
Qualcuno svenne.
Ad un segnale del Comandante, quattro militi entrarono nelle già disfatte file distribuendo pugni e schiaffi ai più smaniosi, inveendo con infami insulti.
A poco a poco il silenzio tornò di nuovo.
Nessuno ora desiderava farsi notare dal timore di essere scelto quale componente del nucleo che doveva pagare con la morte l’assassinio dei tre militari tedeschi.
I carcerieri gioivano dello stato d’animo creatosi tra noi e seguivano con occhio beffardo ogni nostra mossa destinata ad apparire naturale.
La pioggia continuava a cadere, incessante e monotona.
Quel miscuglio di uomini di ogni età inzuppati fino alle ossa, aspettava con fatale rassegnazione il momento cruciale.
Io ero appoggiato contro il muro, e cercavo di farmi sempre più piccolo dietro i due che mi precedevano, una folle paura si era impossessata di me. Non riuscivo a dominarla: respiravo con affanno, mi tremavano pure le labbra dalle quali nessun suono sarebbe potuto uscire che non fosse stato un lamento.
Al mio fianco qualcuno gemeva. Non osai voltare la testa per guardarlo.
Avrei voluto pregare, invocare la protezione di Dio, ma la mia mente sconvolta non era in grado di ragionare.
Le tempie mi battevano forte. Temevo che mi scoppiasse la testa.
Se non ci fosse stato il muro a sostenermi, sarei caduto a terra.
L’acqua mi gocciolava nella schiena facendomi fremere di terrore.
In quel mentre il Comandante della fortezza dava gli ordini ai suoi subalterni di procedere immediatamente al prelevamento degli ostaggi.
Venne avanti un sottufficiale. Senza indugiare, additò rpontamente i primi cinque di fronte a lui, poi con voluta crudeltà, si fermò innanzi ad un ragazzo appena ventenne. Lo fissò negli occhi sorridendo. Quello sbiancò per l’emozione. Il tedesco passò oltre, ed il ragazzo crollò a terra privo di sensi.
Due suoi vicini che si mossero nell’intento di rimetterlo in piedi, vennero prelevati.
Non ci potevano credere e tentavano di protestare. A persuaderli ci vollero le urla di tre aguzzini che li spinsero fuori dalla fila a furia di calci.
Il sottufficiale stava per avvicinarsi alla terziglia di cui facevo parte.
Mi staccai dal muro cercando di sostenermi alla meno peggio. Riuscivo tuttavia a stare dritto sulle gambe. Ero più alto dei due che avevo davanti, inoltre spiccava fra tutte la mia chioma di capelli rossi spettinati. Ero il solo fra tutti i detenuti ad avere i capelli di quel colore.
A quel pensiero mi vennero quasi meno le poche forze che ancora mi rimanevano. Sarei stato prelevato per forza…. Di sicuro non potrei riuscirgli simpatico, con quei capelli rossi, gli occhi gonfi, ed il viso lentigginoso……
Strani brividi mi percorrevano la schiena.
Non potei continuare le mie divagazioni. Il tedesco ormai era giunto davanti a noi tre.
Già erano stati scelti sedici detenuti.
Stavo ritto sull’attenti non volendo nascondermi, consapevole dell’inutilità di quel vano tentativo.
Fece segno al primo. Quello non si mosse, sperando in chissà quale misericordia…
Il tedesco lo prese per un braccio e violentemente lo gettò nelle pozzanghere, in mezzo al cortile. Ed ora?
Senza curarsi del vecchietto che mi precedeva, il sottufficiale si avvicinò a me. Eccomelo di fronte. Cercava il mio sguardo. Io non riuscivo a vederlo: i miei occhi eravo velati di lacrime e di pioggia. Sentivo solo il suo alito che puzzava di tabacco. Rimase fermo a fissarmi in viso.
Già stavo per crollare.. Un violento sforzo su me stesso per reagire mi permise di vedere in viso il tedesco. Mi disse qualcosa che non compresi, e sorridendo si allontanò.

Salvo!! Ero miracolosamente salvo!!!

Mi passò davanti agli occhi fugace la visione di mia madre.
A pochi passi da me due poveri diavoli vennero fatti uscire dalle file. Poi altri più in là, ed altri ancora fino a raggiungere il numero previsto.
Dopo di che, ai rimasti venne impartito un secco ordine: in cella, presto!
Raggiungemmo il camerone in uno stato d’animo indescrivibile.
Io mi buttai pesantemente sulle due assi che costituivano il mio giaciglio. Dovevo avere una febbre altissima. Tremavo tutto e a malapena riuscivo a sentire i commenti dei miei compagni. Sentii imperioso il desiderio di gridare e urlare.
Scoppiai in un pianto disperato facendo coro ad un altro ragazzo della mia età a cui avevano prelevato il fratello.
Poi caddi a terra e venni trasportato in infermeria.